lunedì 23 luglio 2012

Intervista

- Quali sono stati gli input che hanno portato alla creazione del Centro Studi per l'Acquaponica?
In generale perchè in Italia non esiste un centro che studi e diffonda la tecnologia dell'Acquaponica negli spazi urbani e agricoli nonostante la crisi e la perdita delle vecchie culture. Siamo un paese circondato da 3/4 di acqua e abbiamo puntato più sulla pesca diretta che sull'allevamento, anche in tempi di crisi, in agricoltura è difficile innovare. Noi abbiamo pensato che in futuro la gestione e l'utilizzo dell'acqua debba essere più conservativa possibile, che avremo bisogno di spazi coltivati e che il mare non possa sempre essere un bacino da cui prendere senza mai dare (stessa cosa per fiumi e laghi).

- Esistono altre realtà ass­ociative a livello nazionale sensibili alle stesse tematiche?
Se si parla di tematiche relative alla sostenibilità e alla cura dell'ambiente sì, basti pensare al movimento delle "Città di transizione" e a tutte quelle associazioni ambientaliste che negli ultimi 30 anni hanno contribuito alla costruzione del sentiero che oggi possiamo percorrere. Se parliamo di realtà associative legate all'Acquaponica, al momento non ne conosco nessuna, ma spero che ne nascano e che si possa far rete con loro.
 
- Quali Paesi presentano un maggior inurbamento ed hanno a vostro parere bisogno di pianificare e sviluppare con urgenza progetti per lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali?
Senza dubbio sono i paesi "emergenti" ad altissimo tasso di crescita (America Latina, Africa, Asia) che dovrebbero stare molto attenti alle loro risorse naturali. Credo che l'acqua diverrà prestissimo l'oro del nostro tempo e qualunque iniziativa rivolta alla sua tutela è ben accetta.

- Come rispondono i Paesi a maggior inurbamento alla proposta di pianificare e sviluppare con urgenza progetti per lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali?
L'Acquaponica sta iniziando ad essere utilizzata sempre di più per il recupero di vecchi edifici in disuso a fini produttivi in particolare in città americane come Chicago e Milwaukee e per la produzione di cibo a km0 in città orientali importanti come Tokyo dove impianti di produzione riforniscono direttamente alcuni ristoranti organici. La tendenza è quella, attualmente promossa soprattutto da privati con finanziamenti di investitori sempre privati, di realizzare centri urbani di produzione che possano funzionare con energie rinnovabili e che consentano il recupero e il riciclo di materie prime organiche ai fini della produzione di beni alimentari e per la dimostrazione e diffusione delle conoscenze in materia, con lo scopo di supportare la creazione di nuovi posti di lavoro e opportunità per le comunità locali.

- Quali Paesi invece ritenete siano all'avanguardia avendo già sviluppato progetti per una concreta riduzione dell'impronta ecologica dell'uomo sull'ambiente?
Gran Bretagna in primis, Paesi Bassi e in generale l'Europa del Nord sono molto attenti al problema. Il concetto di impronta ecologica nasce in Inghilterra, così come il movimento delle "Città di transizione".

- Quali figure professionali hanno partecipato alla realizzazione dell'impianto pilota della Società Acquaguide finalizzato alla produzione di gamberi d' acqua dolce insieme ad alcune specie di vegetali commestibili? Può essere questa la strada per incrementare nuovi posti di lavoro?
Per quanto riguarda la partnership avuta con Aquaguide, abbiamo avuto la collaborazione continua di un biologo marino ed un coltivatore diretto (un agronomo e un botanico sono stati d'aiuto come consulenze esterne), così come ingegneri e architetti hanno dato un grande contributo.
Sicuramente se la tecnologia si diffonde si creano posti di lavoro sia diretto che indiretto (oltre al fatto che si crea anche una piccola coscienza di autoproduzione alimentare). Ricordo che comunque l'impianto in questione alleva anche specie ittiche di importanza commerciale sia dal punto di vista alimentare che ornamentale, in tal modo contribuendo, se il modello viene ripetuto e ampliato sul territorio nazionale, alla riduzione della dipendenza italiana dall'approvviggionamento estero dei prodotti ittici di acqua dolce sia per il mercato alimentare che per quello acquariofilo e florovivaistico relativo alle specie ittiche ornamentali.


- Per quanto concerne le attività dell' Associazione "Centro Studi per l'Acquaponica", quali sono le difficoltà riscontrate per la parte didattico-divulgativa?
Due sono le difficoltà incontrate:
La prima è quella di far conoscere un sistema che è totalmente sconosciuto in questo paese e quindi coinvolgere le persone a corsi e convegni.
La seconda difficoltà è stata vincere lo scetticismo di chi non avendo mai provato ne Idroponica ne Acquaponica è convinto che non funzioni e dà giudizi senza conoscere.

- Quali spazi sono necessari in una struttura creata appositamente per l'utilizzo della tecnologia dell'acquaponica?
Gli spazi sono molto variabili e dipendono dalle esigenze di che vuole l'impianto. Si va dal piccolo acquario da scrivania (7 litri) a grandi impianti di 4000 metri quadrati nel caso del più grande impianto attualmente esistente realizzato negli Emirati Arabi per ridurre le importazioni alimentari di alcune verdure e di pesce dall'estero. Senza considerare poi l'integrazione con le tecniche di agricoltura verticale che permette di triplicare se non quadruplicare gli spazi a disposizione.

- All'interno dell'architettura da me progettata, strutturata in un piano interrato un primo piano e 2 “torri” da otto piani, come potrebbero essere ottimizzati gli spazi per le attività del centro Studi per L'Aquaponica?
Gli spazi per le attività del Centro studi potrebbero essere di due tipi: una parte di didattica (aula) e laboratorio ed una parte di impianto visitabile che magari possa rendere autosufficiente a livello alimentare la struttura. Un negozietto di pesce e verdure a km 0 al pianterreno? La produzione potrebbe esser fatta al pianterreno.


Richard Dernowski
Presidente del Centro Studi per l'Acquaponica